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Ricordiamo, attraverso lo splendido articolo scritto per la nostra newsletter, il nostro Riccardo ad un anno dalla sua scomparsa

Quando tanti anni fa dissi per la prima volta “ti voglio bene” ad una ragazza non fu una cosa certo semplice; ricordo che la voce mi tremava, era difficile trovare il volume giusto e gli occhi proprio non riuscivano a guardare negli occhi di lei.

Quanto è stata più facile la cosa qualche anno fa per mio figlio: era il tempo dell’esplosione degli sms e i sentimenti venivano espressi per iscritto, per giunta abbreviati dalle ferree leggi dello smanettamento telefonico e tutto si risolse in un TVB.

Lungi da questo scritto lo schierarsi verso uno o l’altro dei linguaggi comunicativi: non credo si possa parlare di migliore o di peggiore, solamente ce n’è uno più o meno attuale. Sicuramente però il linguaggio di mio figlio ha mostrato dopo qualche tempo una pecca, quella di livellare verso il basso la trasmissione di emozioni; un linguaggio privato del paraverbale (tono, volume, pause ecc.) e del non verbale (mimica, movimenti ecc.) non riesce più a graduare l’intensità di ciò che vogliamo trasmettere.

E allora ecco usare vari tipi di accrescitivi sempre più forti, dal TVTTB (ti voglio tanto tanto bene) al TV1KDB (ti voglio un casino di bene) fino ad arricchire il messaggio con l’invenzione degli emoticons.

Che sono gli emoticons? Se avete almeno tre decadi di età, avrete sicuramente visto da ragazzi uno di quei disegni che operosi perdigiorno facevano con la macchina da scrivere ripetendo ossessivamente la stessa lettera (di solito la X) sul foglio di carta fino a creare una gestalt (forma che dà l’impressione di…) con paesaggi, madonnine ecc. I perdigiorno attuali sfogano la loro creatività creando ogni giorno una nuova gestalt con i vari simboli della tastiera telefonica, che vengono raggruppati in forme che esprimono un’emozione (tipiche le “faccine”che sorridono o sono tristi).

Sfruttando qualsiasi cosa la tecnologia offra di nuovo, qualcuno ha cominciato allora (e la cosa si è diffusa in un baleno) ad utilizzare gli emoticons per provare ad aggiungere al proprio messaggio comunicativo un altro grammo di quella risonanza emotiva andata persa; in pratica ti sto dicendo delle cose e ti aggiungo anche che sono contento.

Funziona? Una banale regola di psicologia afferma che se attaccate un avviso scritto sul muro in un primo tempo verrà letto da tutti, ma in un secondo tempo verrà involontariamente oscurato ed ignorato. Credo che per gli emoticons succeda un po’ la stessa cosa: solo se usati con parsimonia e soprattutto se non riconosciuti a colpo d’occhio da chi legge (che dovrà quindi applicarsi qualche frazione di secondo in più) riescono a trasmettere qualche minima particella di emozione. Viceversa col tempo perdono efficacia comunicativa.

Detto questo, quanto sopravviveranno gli emoticons? La mia opinione, personale e contestabile quanto volete, è che anche questo “prodotto culturale tecnologico” ha i tempi contati, così come il computer attraverso il quale mi state leggendo sarà presto sostituito da un nuovo modello più efficiente; accadrà allora che non appena la tecnologia offrirà nuovi strumenti, chi comunica cercherà di appropriarsene per migliorare ed integrare il proprio messaggio. Non mi è difficile immaginare che prima o poi avremo gli SMS con colonna sonora o con emissione di sostanze che stimolino le papille olfattive o altro.

 

Chiudo con una confessione personale: se tutto questo discorso, ancorchè attuale, in fondo in fondo è lontano dagli schemi comunicativi che ho sempre adottato e continuo ad adottare, ogni volta che vedo mio figlio utilizzare Skipe con gli amici ritrovo la speranza che alla fine del ciclo si ritorni a trasmettere agli altri i propri vissuti emotivi utilizzando gli strumenti infrangibili e ad abbonamento gratuito che la natura ci ha dato.