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Un prodotto conforme agli standard aziendali non è sinonimo di apprezzamento da parte del consumatore. Così come la profonda conoscenza del proprio prodotto e del mercato non sono sufficienti all’azienda per prevedere il successo di un nuovo prodotto

Massimo Barnabà, Sensorylab illycaffè, spiega come azienda e istituto di ricerca possano collaborare, mettendo in sinergia i reciproci punti di forza

Sotto questo titolo si celano più aspetti di quanti vengano in mente ad un primo esame frettoloso. L’approccio classico, ormai quasi scontato nella definizione dei metodi e degli obiettivi, vede la valutazione sensoriale del prodotto applicata alla produzione, come cioè un controllo del processo fatto da personale interno all’azienda, magari vicino alle linee. All’altro capo della filiera, invece, ci sono le analisi sensoriali effettuate sulle materie prime, come nell’azienda per cui lavoro, nella quale ogni singolo lotto di caffè viene assaggiato prima dell’acquisto per verificarne la conformità a stretti criteri qualitativi.

In questi casi la risposta che scaturisce è quella relativa alla conformità del prodotto ad uno standard presente al momento o ben noto agli addetti.

Allargando gli orizzonti, un’azienda alimentare può utilizzare internamente le valutazioni sensoriali per misurare se stessa e i competitor, per cercare di individuare le caratteristiche sensoriali (qualora ve ne siano) che differenziano il prodotto dalla concorrenza, dai top di gamma o dai prodotti che vendono di più.

Il fine ultimo di tutte le analisi è comunque un prodotto che soddisfi il consumatore e lo invogli all’acquisto, e per fare ciò è necessario spostare (anche fisicamente) la valutazione sensoriale dei prodotti dall’azienda (e dal personale dell’azienda) al consumatore. Perché, dovrebbe essere ovvio ma spesso così non è, i prodotti devono soddisfare chi li acquista e consuma, e non le esigenze produttive delle aziende.

La possibilità di effettuare il test utilizzando risorse interne all’azienda è la strada che sembra quella più logica: chi infatti conosce i prodotti, il brand e i propri consumatori meglio di chi lavora in azienda? Il problema che sorge in questi casi è però proprio il coinvolgimento da parte di chi deve condurre e progettare un test: il fatto di conoscere punti di forza e di debolezza del prodotto, di essere parte in causa, può causare una forte distorsione sia nel porgere le domande ai consumatori che nell’analizzarne i responsi. E’ molto difficile assumere una posizione neutrale nei confronti dei risultati quando magari si è preso parte alla validazione dei prototipi, o alla formulazione degli stessi.

In quest’ottica appare quindi logico e necessario l’utilizzo di istituti di ricerca esterni per effettuare ricerche sui prodotti che coinvolgono i consumatori: la mancanza di bias relativi a prodotti, strategie aziendali o conflitti interni, la conoscenza delle migliori tecniche per indagare i responsi dei consumatori, la capacità di effettuare test in diverse aree geografiche e con il target di popolazione richiesto, sono solo alcuni dei motivi che inducono un’azienda ad utilizzare un istituto.

Cosa viene richiesto all’istituto? Prima di tutto di essere un partner capace di comprendere le esigenze dell’azienda in merito a un prodotto o un problema che intende affrontare, tradurle in un disegno sperimentale e fornire, alla fine del test, delle informazioni che siano comprensibili e quindi utilizzabili dal committente.

La fase della trasmissione dei risultati al committente sembra sia scontata, ma non sempre gli output di uno studio permettono al committente di operare una scelta: perché? Alcune volte perché vi sono state lacune nella fase di briefing dato all’agenzia, altre ancora perché in un unico studio l’azienda vuole far stare più elementi possibili, che possono essere dei distrattori nei confronti della risposta richiesta inizialmente. In questi casi l’apporto dell’istituto è fondamentale nel cercare di coniugare esigenze opposte quali semplicità del questionario e completezza dello stesso, soddisfare le molteplici esigenze del cliente mantenendo il focus sull’obiettivo principale dello studio.

Purtroppo, ancora oggi sono frequenti i casi in cui nello studio della formulazione di un nuovo prodotto vengono trattati elementi di package, claim pubblicitari o di shelf life: un insieme caotico che rischia di non portare a nessuna risposta utile!

A mio avviso dovremmo, committenti e istituti, lavorare in stretta collaborazione fin dalle prime fasi del progetto, per essere chiari nel comunicare le esigenze e trasparenti nell’illustrare vantaggi e limiti delle tecniche di analisi utilizzate, a cominciare dal numero di prodotti da testare, dalla numerosità del campione di consumatori scelto, dalle condizioni di assaggio (blind, branded, in central location, a casa).

Solo operando in tale maniera possiamo garantire la realizzazione di studi che realmente servano alle aziende per conoscere meglio il rapporto tra prodotti e consumatori, che ottimizzino le informazioni sulla base dei costi dei test, e che forniscano risultati affidabili e chiari, in cui la parte di analisi e interpretazione dati venga fatta dall’istituto e non da persone coinvolte nello sviluppo del prodotto.

* Sensorylab illycaffè S.p.A.