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Il monitoraggio continuo dei nostri comportamenti online rappresenta davvero una minaccia, o ci offre anche benefici?

Ogni giorno milioni di adulti vanno online – chi per postare qualcosa sui social, chi per acquistare un DVD o un volo aereo o il biglietto per un concerto. Miliardi di gigabyte di internet che si vengono a creare quotidianamente. Si tratta di informazioni che fanno gola e di cui c’è gran richiesta: i vantaggi che l’analisi dei dati personali comporta sono oramai noti a tutti.

E noi, volenti o nolenti, lasciamo tracce ogni volta che postiamo qualcosa sui social media o partecipiamo ad un forum o scriviamo un commento. Condividiamo informazioni su di noi quando inseriamo nome cognome e indirizzo, creiamo una password o salviamo file nel “cloud”. In teoria si tratta di dati che dovrebbero rimanere riservati, ma non sempre è così. E in più ci sono ulteriori indizi, quasi impercettibili, che parlano di gusti e abitudini ogni volta che navighiamo sul web. Il primo è l’indirizzo IP: quando visitiamo un sito o inviamo una mail, rimane la registrazione del nostro indirizzo IP, cioè il numero assegnato allo strumento che stiamo usando online e che ci identifica su internet.

Un altro indizio: i termini di ricerca. Ebbene sì, quello che digitiamo nel motore di ricerca viene loggato dal provider e dal motore di ricerca stesso, rendendo così possibile verificare quando abbiamo visitato un certo sito, e dove ci trovavamo in quel momento.

Per non parlare dei cookies: la maggior parte dei siti scarica questi piccolissimi file di testo sul nostro strumento, per riconoscerci quando torniamo. Alcuni cookies tengono traccia della nostra attività online, in modo da proporci pubblicità che riflettano i nostri interessi.

E per finire ci sono i keylogger: un keylogger registra di nascosto ciò che digitiamo sulla tastiera, quali siti visitiamo e quali applicazioni usiamo. Possono essere installati dal datore di lavoro, ma possono anche celarsi dietro spyware scaricati involontariamente.

Allora come difendersi da tutto questo? Impossibile, se non rinunciando a utilizzare qualsiasi strumento in grado di inviare informazioni su di noi. Ma quando parliamo di qualsiasi strumento, non dobbiamo commettere l’errore di pensare solo al computer, all’I-pad, allo smartphone …. Rilasciamo dati nostri anche usando il badge per entrare in un ufficio, in una stanza d’albergo, usando la card del supermercato, il telepass, il bancomat, la carta di credito … persino portando nel bosco il cane, se microchippato.
Ma non tutto è male. Tutti questi dati vengono usati anche a beneficio nostro, e di tutta la comunità in senso più ampio. I cookies, ad esempio, possono anche migliorare il rapporto con i nostri siti preferiti e creare una internet experience effettivamente tagliata sui nostri interessi. L’analisi dei social media condotta dalle forze dell’ordine contribuisce a smascherare organizzazioni criminali, a snidare latitanti (ricordate il mafioso ricercato che postava le foto del ristorante in cui cenava con la fidanzata?), a far emergere attività illecite o comportamenti illegali (come il recente caso dei b&b a Venezia, sconosciuti al fisco ma presenti sui siti di viaggi).
Un’ultima raccomandazione: se postate un selfie, assicuratevi che sia stato eliminato il file dati Exif (non tutti lo sanno, ma quando si fa una foto con qualsiasi strumento, si vengono a creare un file immagine ed un altro file dati Exif) fornendo così molte più informazioni identificative di quanto vorreste e di quanto avreste mai pensato!