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La stampante 3D non ha più bisogno di presentazioni, in poche parole è un macchinario in grado di riprodurre nel mondo reale un modello virtuale tridimensionale. In generale, senza entrare nel merito delle diverse tecnologie, le stampanti 3D utilizzano prevalentemente materiali in polvere o in polimeri che vengono fusi ed estrusi attraverso degli ugelli; appena uscito il materiale solidifica riproducendo uno dopo l’altro i vari strati del modello, fino a realizzarlo completamente. La tecnologia trova largo uso nel settore della gioielleria, calzoleria, progettazione industriale, architettura, automotiva, aerospaziale, medico e dentistico.

Ma non è tutto. La varietà di materiali impiegati nelle stampanti 3D si è estesa fino ad utilizzare materie prime commestibili, incontrando così il mondo del food.

Le stampanti 3D alimentari funzionano con lo stesso metodo di quelle destinate a produrre oggetti non-food solo che utilizzano materie prime alimentari, generalmente ridotte ad impasto. Attualmente questa tecnologia si trova ad uno stadio pionieristico per cui non esiste in circolazione una grande varietà di modelli, che, oltretutto, sono spesso ancora in fase di prototipazione. Come vedremo, in questo ambito esistono diversi approcci progettuali e differenti concept.

Esistono modelli di stampanti alimentari 3D simili a robot da cucina che stampano delle piccole capsule liquide, simili a delle goccioline, che all’interno contengono ingredienti naturali che imitano vari sapori. La cosa interessante è la possibilità di sperimentare vari accostamenti di sapori, anche audaci: ad esempio durante i test condotti dal produttore Nufood si è scoperto che l’aceto balsamico esalta il sapore del lampone.

Altre estrudono il cibo da una testina fatta a mo’ di siringa.

Alcuni produttori si focalizzano sulla possibilità di usare cartucce “preconfezionate” che spaziano dal dolce al salato e che rendono queste stampanti simili alle comuni stampanti inkjet.

Altri hanno l’obiettivo di far preparare facilmente il cibo fatto in casa, sostituendo una serie di prodotti confezionati (snack, merendine, ecc…) con dei prodotti “più genuini”, perché realizzati con ingredienti scelti da noi. Il sistema adoperato viene definito “open capsule model” cioè l’utente prepara a sua discrezione gli ingredienti freschi da inserire in capsule di acciaio inox che fungono da ugelli, i quali si occuperanno di dare forma all’alimento.

Un esempio, molto pionieristico, di utilizzo delle stampanti alimentari 3D è suggerito da Giuseppe Scionti, ricercatore a Barcellona sul tema della rigenerazione dei tessuti, che ha realizzato una bistecca, o meglio un carpaccio (viste le esigue dimensioni), stampata in 3D. Questa fettina di carne non è fatta di carne, ma di proteine vegetali, in questo caso piselli e riso. Non è fatta di carne ma ha una consistenza fibrosa, come se fosse carne, appunto.

Attualmente le macchine sono lente ma si pensa ragionevolmente che in futuro i processi verranno ottimizzati in modo da essere più veloci della mano umana, magari mediante l’utilizzo di ugelli multipli.

La stampa 3D degli alimenti oggi può sembrare una frivolezza oppure una cosa troppo farraginosa per avere risvolti pratici; in verità le potenzialità sono notevoli e, una volta superati i limiti attuali, un loro impiego potrebbe risolvere alcune problematiche di tipo organizzativo, sociale, nutrizionale e altro ancora.

Le sfide principali da affrontare nella situazione attuale non sono di poco conto e riguardano – per il momento – soprattutto gli aspetti produttivi: la velocità di realizzazione, la resa in termini qualitativi e i costi. Tutti fattori che non permettono di ipotizzare un impiego concreto su vasta scala nel breve termine.

Ma, ancora da esplorare a fondo è anche l’impatto su tutti gli aspetti sensoriali che compongono la qualità direttamente percepita dal consumatore: una competizione davvero aperta verso i prodotti ottenuti dai processi produttivi “tradizionali”.

Dunque, un giorno probabilmente mangeremo anche questo tipo di cibo e questa tecnologia entrerà di soppiatto nelle nostre case. Un giorno però. Non domani!

 

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