Le scienze sensoriali negli ultimi anni hanno avuto un grande impulso nello studio di posizionamento e sviluppo di prodotto, soprattutto in ambito alimentare, e Adacta è stata sicuramente tra i principali protagonisti della loro diffusione nelle aziende.
Ne parliamo attraverso un’intervista rilasciata da Silvia Abbà e Gian Paolo Zoboli alla rivista Scienza e Tecnica Lattiero Casearia.
Qual è il ruolo delle metodologie sensoriali nello scenario attuale di sviluppo prodotti?
Silvia Abbà: Nei vari step che accompagnano la realizzazione di un progetto, sia esso di sviluppo di un nuovo prodotto, di monitoraggio o valutazione della performance sul mercato verso i competitor o, ancora, di analisi del grado di standardizzazione della qualità sensoriale percepita, i momenti in cui le metodologie di ricerca della consumer&sensory science giocano una funzione cruciale sono molteplici. Le metodologie della consumer&sensory research hanno la particolarità di dover essere ogni volta “modulate” sull’obiettivo specifico e il disegno di ricerca è spesso costruito ad hoc sia che si tratti di studi che coinvolgono il consumatore sia di studi analitici, che richiedono l’applicazione di metodi sensoriali oggettivi.
Qual è il ruolo dell’istituto di consumer&sensory research e come si integra o come si rapporta, con le diverse funzioni aziendali?
Silvia Abbà: L’istituto, attraverso i suoi ricercatori esperti in consumer&sensory science, deve saper interpretare gli obiettivi aziendali e tradurli in obiettivi di ricerca. In particolare, quando si tratta di studi sul consumatore, la stessa metodologia richiede quasi sempre la costruzione di un disegno sperimentale differente, in dipendenza non solo degli obiettivi ma anche: del numero di prodotti da valutare, della loro penetrazione sul mercato, del target e dell’ampiezza del campione di consumatori da intervistare. Ecco perché la figura del consumer&sensory scientist richiede una preparazione professionale specifica, in grado di offrire una vera e propria consulenza all’azienda committente, attraverso un lavoro di progettazione in un rapporto di stretta collaborazione “istituto-committente”.
Come strumento aziendale quindi quali funzioni deve coinvolgere?
Silvia Abbà: All’interno delle aziende committenti servono competenze in grado di garantire capacità critica verso le proposte metodologiche offerte dagli istituti esterni e capacità di tradurre in azioni le raccomandazioni fornite dal report con i risultati della ricerca. Le funzioni aziendali che si interfacciano con l’istituto sono molteplici e dipendono da due fattori principali: dalle dimensioni dell’azienda e dall’obiettivo della ricerca. In un’azienda di grandi dimensioni, con funzioni ben strutturate, le figure interne che coordinano i progetti di ricerca possono essere project manager della divisione marketing o della ricerca&sviluppo o, ancora, addetti della divisione Assicurazione e Qualità che commissionano ricerche ad istituti esterni attraverso l’emissione di brief di ricerca ben definiti. In alcune grandi aziende, qualche volta, è presente anche la figura del responsabile ricerche, esperto di studi sul consumatore, con funzione di interfaccia tra il marketing e gli istituti esterni. Si tratta in tutti questi casi di figure professionali con competenze molto specifiche, come nel caso del responsabile ricerche, o con un buon grado di conoscenza delle metodologie di ricerca.
In aziende meno strutturate invece?
Silvia Abbà: In aziende meno strutturate, molto spesso non sono presenti figure con una preparazione specifica sui temi della consumer&sensory research e, qualche volta, è il titolare stesso dell’azienda il primo interlocutore; è in questi casi che il ricercatore esterno deve maggiormente fungere da vero e proprio consulente di ricerca. Tuttavia, fortunatamente, la diffusione delle tematiche legate agli aspetti sensoriali dei prodotti, sia per quanto riguarda le caratteristiche oggettive che quelle percepite dal consumatore, hanno favorito negli ultimi anni una crescita continua ed apprezzabile del grado di conoscenza e di preparazione delle figure professionali interne alle aziende. Questo non solo agevola il lavoro di noi ricercatori ma rende ancora più piacevole e costruttivo il confronto.
Parliamo del settore lattiero caseario: quali sono le richieste più comuni?
Gian Paolo Zoboli: Come per gli altri comparti dell’agroalimentare, anche quello lattiero caseario presenta un quadro molto disomogeneo: accanto ad aziende che hanno consolidato la consuetudine all’utilizzo delle tecniche di ricerca proprie della sensory&consumer science, ve ne sono molte altre che ne rimangono distanti. Nel complesso, però, occorre riconoscere che si tratta di uno dei comparti dimostratisi più attenti e sensibili a queste preziose fonti di informazione. L’esigenza più consueta e un po’ scontata rimane quella della rilevazione del giudizio del consumatore sui propri prodotti, spesso in comparazione con i competitor; ma accanto a questa prevedibile necessità se ne è ben presto affiancata un’altra, particolarmente attuale e rilevante in questo comparto: disporre di strumenti di verifica anche sensoriale della costanza qualitativa/produttiva, specie per prodotti difficili da standardizzare, influenzati come sono anche dalla variabilità della materia prima, sia in termini di provenienza, sia di stagionalità. Una necessità, questa, a cui si può in primo luogo rispondere con il ricorso ad un Panel di giudici addestrati (interno o esterno all’azienda). Così come sempre più frequente è lo studio della shelf life dei prodotti, specie quelli altamente deperibili, anche dal punto di vista sensoriale, ritenendo pressoché unanimemente che la definizione della sola vita “microbiologica” del prodotto non basti più.
Quali aree invece rimangono da esplorare?
Gian Paolo Zoboli: Quella che ancora stenta a farsi strada, salvo alcune lodevoli eccezioni, è la consapevolezza dell’utilità di studiare più approfonditamente la segmentazione delle preferenze sensoriali dei consumatori, sebbene sia ormai chiaro che ben difficilmente un prodotto potrà mettere d’accordo tutti. Analogamente, un altro aspetto che meriterebbe di essere investigato più sistematicamente è lo studio della relazione (e dell’efficacia reciproca) fra prodotto e brand. Quanto il marchio valorizza e migliora la percezione sensoriale del prodotto? E quanto il contrario? Quel che dovrebbe essere chiaro è che un brand, per quanto forte e di fiducia, non necessariamente si adatta a qualsiasi prodotto, seppur dello stesso comparto. Rovesciando il punto di vista, del resto, un prodotto non all’altezza finirà comunque per danneggiare anche il brand più solido.