Per l’uomo il tema dell’invecchiamento, o meglio della ricerca della longevità, ha sempre avuto un ruolo di primo piano. Una corsa in cui il traguardo si sposta di continuo e presuppone il sistematico superamento dei limiti che la natura umana “sembra” imporre.
Spesso ci si interroga su come realizzare il sogno di una vita ultracentenaria.
In verità, la domanda giusta da porsi non è quanto a lungo riusciamo a vivere, ma in che modo lo facciamo. E questo è il tema su cui anche la comunità scientifica sta orientando sempre più i propri sforzi.
Il fattore ereditario, il condizionamento ambientale e culturale, lo stile di vita, sono certamente aspetti centrali, ma si è fatta strada l’idea, solo negli ultimi decenni, che anche le abitudini alimentari rivestano un ruolo importante.
Come teorizzato già nel XIX secolo dal filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, un popolo può migliorare migliorando la propria alimentazione, perché “siamo quello che mangiamo”.
Cosa mangiare, quanto e quando? Queste sono le domande a cui per secoli le diverse culture hanno cercato di dare risposte concrete, creando una struttura di regole il cui scopo era quello di preservare la tradizione culinaria locale, rafforzando anche l’identità del popolo stesso. Negli ultimi decenni, però, le mutate esigenze dell’uomo moderno non riescono più ad essere inquadrate strettamente in questi schemi, con una crescente incertezza riguardo il cibo che mangiamo, come questo venga prodotto, ma anche quali siano modalità e quantità raccomandate.
A testimonianza delle abitudini alimentari in continua evoluzione, anche “cibi pregiati” che ora riteniamo essere un lusso, uno strappo alla regola da concedersi una tantum, non sono sempre stati considerati tali. Ad esempio, si riteneva che l’aragosta fosse immangiabile e destinata ad essere messa in tavola solo in caso di estrema necessità.
Il tartufo, delizioso, profumato, raro e costosissimo, una volta era etichettato come “fungo stupido”. Incredibilmente economico, era utilizzato come condimento a basso costo; si narra perfino di una sommossa da parte dell’esercito napoleonico, stanco di vedersi servire per mesi di fila “rancio” a base di tartufo.
Non più fortunata la sorte del caviale, che, considerato un alimento per disperati, veniva addirittura servito ai detenuti.
Un’ ulteriore evidenza di come si trasforma il sentire comune e la cultura culinaria nel corso degli anni è data dal paradigma del “pesce povero”. Aguglie, sugarelli, alici, pesce bandiera e canocchie si sono meritati questo appellativo non perché poveri di nutrienti, ma perché considerati rimanenze del pescato del giorno di cui i pescatori avevano necessità di disfarsi.
Il consumo di questi tipi di pesce allevia la pressione della pesca e garantisce il mantenimento della biodiversità di tutte le specie ittiche dei nostri mari, favorendo il naturale turn over. Per questo basso impatto ambientale e per le loro proprietà nutritive, i “pesci poveri” sono diventati da tempo protagonisti sulle nostre tavole.
E per quanto riguarda la carne?
Nei secoli passati, mangiare una bistecca di grosso taglio era considerato un incredibile passo falso per i membri dell’alta società. Il pregiudizio contro le grosse bistecche risale all’antico Egitto: in epoca faraonica le bistecche erano una punizione umiliante per i bambini maleducati.
Niente di più lontano dall’evoluzione in senso carnivoro che ha avuto la società moderna, con un’impennata dell’utilizzo di carni rosse tale da stimolare il sempre più acceso dibattito sulle ricadute di tali abitudini alimentari sull’ambiente e sulla nostra salute.
A tal proposito, complice l’innovazione dei processi produttivi, proprio dagli Stati Uniti (patria dell’hamburger e dei barbecue) arrivano i primi non tanto timidi tentativi di invadere il mercato con “hamburger di carne senza carne”. Questo attraverso risultati ottenuti in laboratorio, modificando geneticamente proteine della soia, i cui effetti a lungo termine sull’organismo umano sono ancora sconosciuti. Note invece le ricadute sulla salute della presenza di un elevato contenuto di sale e di sostanze che stimolano il gusto per riprodurre le caratteristiche organolettiche proprie della carne ed “ingannare” anche i palati più attenti. Dopo gli hamburger di carne senza carne, sono seguiti il “pesce senza pesce”, il “caffè senza caffè” ed ultimamente persino i gamberetti vegetali.
L’uomo moderno si trova quindi a soddisfare vecchi bisogni con nuovi mezzi a disposizione. Tuttavia, una regola vera e propria che provi ad indirizzare su quali siano le corrette abitudini alimentari ancora non esiste; così, secondo molti esperti, il comportamento che pone le basi per vivere più a lungo e soprattutto in buona salute, rimane quello “banale” ma non troppo: affidarsi ad una dieta bilanciata nella varietà e nella quantità.
Alcuni riferimenti:
- Le tante ossessioni che puoi avere col disturbo ossessivo-compulsivo – VICE
- Storia dei cibi di lusso prima e dopo
- La carne rossa fa bene secondo un nuovo studio
- Big Mac, ecco cosa succede nel corpo un’ora dopo averlo mangiato | Caffeina Magazine
- Anche McDonald’s testa il panino di neocarne | The Food Makers
- Hamburger vegetariani non sono così sani come sembra
- Arrivano i gamberetti coltivati in laboratorio | The Food Makers
- Lifestyle | Cosa mangeremo tra cento anni – TPI
- Siamo quello che mangiamo o che non mangiamo? | Scienza in rete