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La shelf-life viene definita come il periodo durante il quale la qualità di un prodotto alimentare, se opportunamente conservato, evolve dal punto di vista chimico e fisico provocando modificazioni impercettibili o ancora accettabili dal punto di vista nutrizionale e sensoriale e conformi, sul piano della sicurezza, a capitolati o parametri di legge.

Tuttavia, il concetto di shelf-life è spesso soggetto a differenti interpretazioni che risentono delle esigenze aziendali e delle logiche commerciali a cui le aziende produttrici devono rispondere nella realtà.

Dal punto di vista della qualità sensoriale, un’ulteriore declinazione del concetto di shelf-life è la sua definizione ai fini della caratterizzazione del prodotto: è questo il caso dei prodotti per i quali il periodo di conservazione coincide con le fasi di maturazione e di affinamento delle sue caratteristiche sensoriali e dove un dato periodo di conservazione identifica una vera e propria tipologia commerciale di quel prodotto. Pensiamo ad alcuni formaggi stagionati, ad alcuni salumi, ai vini dove l’ “invecchiamento” diventa piuttosto un valore aggiunto.

Molteplici sono i fattori che concorrono a determinare la vita commerciale di un prodotto tant’è che diventa difficile, se non impossibile, valutarli complessivamente e contestualmente in modo esaustivo. Essa è condizionata da fattori interni all’azienda – dipende fortemente dalla qualità delle materie prime, dal processo produttivo e dalla conseguente qualità del prodotto finito, oltre che dalla modalità e dal materiale di confezionamento – e da fattori esterni all’azienda afferenti alle fasi di distribuzione e conservazione (a punto vendita e domestica) nelle quali il prodotto è sottoposto a complesse e combinate condizioni ambientali – temperatura, luce, ossigeno, umidità – che innescano reazioni fisico-chimiche e microbiologiche in grado di condurlo alla degradazione. La conseguenza diretta di tali fenomeni si manifesta solitamente con un’alterazione delle caratteristiche sensoriali del prodotto che, in molti casi, non sono direttamente correlate ai requisiti di sicurezza, ma che assumono di fatto una posizione primaria perché sono le sole che il consumatore è in grado di percepire e giudicare direttamente.

Ecco che l’assegnazione del corretto periodo di vita diventa un passaggio cruciale nel processo di sviluppo di un nuovo prodotto, essenziale sia per il consumatore che per il produttore. Perché così come una shelf-life sovrastimata può generare il problema di una qualità percepita scadente e deludente, in grado di condizionare negativamente la propensione all’acquisto del prodotto da parte del consumatore oltre che un conseguente danno di immagine per l’azienda, al contrario una sottostima del periodo di vita a scaffale può generare problemi di rotazione con conseguenze non solo economiche  (dovute ad un aumento dei resi) ma anche etiche, dovute all’impatto ambientale e sociale derivanti da un eccesso di rifiuti e dallo spreco alimentare. Tenendo conto che si tratterebbe in questo caso di prodotti ancora commestibili.

L’evoluzione della qualità sensoriale intrinseca di un prodotto durante la sua conservazione può essere suddivisa in due macro-fasi:

  • un primo periodo nel quale si registra un decadimento della qualità con perdita di intensità dei parametri di freschezza del prodotto, che risulta comunque ancora accettabile anche se non più fresco;
  • una fase successiva, in cui si assiste alla comparsa di difetti che rendono il prodotto inadatto al consumo.

E’ intuitivo che una corretta progettazione e messa a punto della shelf-life di un prodotto non può tenere in considerazione solo la seconda fase di evoluzione della qualità sensoriale, ma deve altresì approfondire l’impatto che il “solo” decadimento della freschezza può provocare in termini di accettabilità e propensione all’acquisto. Inoltre, oggi più che mai il consumatore è attento e sensibile ai temi di un’alimentazione sana; anche la data di scadenza riportata su un alimento concorre alla percezione di freschezza e di genuinità del prodotto.

In generale, nei progetti di definizione del periodo ottimale di vita di un prodotto o nelle fasi del successivo controllo periodico, di fondamentale importanza è il piano sperimentale che sta alla base dello studio nel quale vengono stabilite le temperature di conservazione – ideale, reale ed “estrema” – altre condizioni fisiche di conservazione, come luce e umidità,  e gli step ai quali effettuare il controllo: inizio, metà vita e una serie di momenti più o meno ravvicinati e comprendenti il periodo prima e dopo la data di scadenza, presunta o effettiva. Se si escludono i prodotti freschi, i tempi di uno studio di shelf-life sensoriale sono sempre piuttosto lunghi e un buon disegno sperimentale dovrà tener conto dei tempi di risposta e dei costi di realizzazione, compatibilmente con le esigenze aziendali. E’ per questo motivo che nella progettazione di questo tipo di studi è sicuramente utile, dal punto di vista pratico ed economico, partire da studi già effettuati su prodotti analoghi. 

Negli studi di shelf-life sensoriale, due dei disegni più utilizzati sono quelli così definiti “di base” ed “inverso”.

Il disegno di base prevede lo stoccaggio di un campione rappresentativo di prodotto appartenente allo stesso batch, conservato nelle condizioni prestabilite e valutato negli step previsti della vita del prodotto. Un sicuro vantaggio di questo approccio è la garanzia del batch unico, ma uno dei problemi principali riguarda i costi di valutazione. E’ però estremamente consigliato quando non si è certi del fattore “variabilità” della qualità sensoriale inter-batch.

Il disegno inverso prevede invece il prelievo di batch differenti di prodotto in step diversi e antecedenti il momento della valutazione. I prodotti, conservati alle condizioni prestabilite, sono valutati tutti in un unico momento nel quale avranno tempi di invecchiamento diverso: saranno così rappresentati agli estremi il prodotto più vecchio, il primo prelevato, e quello più fresco, prelevato in un momento più prossimo alla valutazione. Se da un lato, un vantaggio evidente è il risparmio in termini di tempo e costi, grazie alla riduzione ad un unico controllo di prodotti con grado di invecchiamento diverso, lo svantaggio palese è la composizione non omogenea dei batch di provenienza del campione che rende adatto questo approccio solo a prodotti di cui si è certi della ridotta variabilità inter-produzione.  

PRINCIPALI METODOLOGIE APPLICATE PER LA VALUTAZIONE DELLA SHELF-LIFE SENSORIALE DI UN ALIMENTO [1]

Nel campo dello studio della shelf-life sensoriale sono applicate per lo più le metodologie oggettive classiche che appartengono all’area analitica, parliamo dei test discriminanti e dei test descrittivi, e a quella edonica che prevedono invece il coinvolgimento del consumatore finale.

Qualunque sia il metodo, la stima della shelf-life sensoriale necessita a priori dell’individuazione di un criterio di giudizio del grado di decadimento della qualità – o punto di cut-off – che corrisponde al momento di “massimo decadimento ancora accettabile” della qualità sensoriale.

I metodi oggettivi o analitici vedono l’impiego di giudici addestrati (in numero di 8-15) formati alla valutazione quali-quantitativa degli attributi caratteristici del prodotto ma anche dei difetti che si generano durante la sua conservazione. Questi test sono basati sul confronto tra il prodotto in conservazione e il prodotto fresco ed hanno l’obiettivo comune di individuare in quale momento della vita del prodotto è rilevabile una differenza significativa verso il prodotto fresco.

I test discriminanti – Triangolare [2], Coppia [3], Duo-Trio [4], ….. – per loro natura consentono di rilevare la presenza significativa di una differenza, generica/complessiva o di un determinato attributo, tra prodotti a confronto diretto: nel caso specifico tra il prodotto conservato per un dato tempo in condizioni controllate ed il prodotto fresco. Il criterio di definizione del punto di decadimento massimo accettabile potrebbe essere in questo caso proprio la rilevazione di una differenza significativa.

Nel caso in cui il panel di giudici addestrati sia coinvolto in test di tipo descrittivo [5], il confronto tra i profili sensoriali del prodotto “invecchiato” e del prodotto fresco di riferimento permette di rivelare l’eventuale presenza di differenze significative a carico di uno o più attributi afferenti all’area visiva, aromatica, gustativa o della sua consistenza.  Questo metodo fornisce una puntuale descrizione quantitativa delle differenze rilevate: potrebbe trattarsi di un decremento significativo dell’intensità di un dato attributo indice di freschezza del prodotto oppure di un aumento significativo dell’intensità di una nota indesiderata. Il punto di decadimento massimo accettabile viene valutato ancora una volta stimando la significatività dello scostamento dalla qualità del prodotto fresco in corrispondenza di un dato momento temporale della vita del prodotto.

Un altro metodo oggettivo, applicato soprattutto nel controllo qualità quindi in fase di controllo della shelf-life e non nella sua messa a punto, è quello basato sulla definizione degli indici di qualità. Questo approccio prevede solitamente l’allenamento di tecnici esperti del prodotto e la creazione di scale quantitative graduate che fotografano 3 gradi di qualità sensoriale:

1) “ottimale”: corrispondente al prodotto “ideale” e fresco

2) “accettabile”: equivalente ad un decadimento significativo ma ancora accettabile

3) “rifiuto”: descrittivo di difetti a carico di una o più aree sensoriali che compromettono il consumo del prodotto.

 L’applicazione della scala ad una serie predefinita di descrittori sensoriali caratteristici del prodotto consente il calcolo dell’indice di qualità complessivo. In questo caso serve un grosso e attento impegno nella riproduzione di riferimenti rappresentativi degli aspetti positivi e dei difetti del prodotto nei 3 livelli qualitativi per standardizzare il metro di giudizio degli esperti. Il punto di decadimento massimo accettabile sarà determinato da un valore soglia predefinito dell’indice di qualità.

Tutti i metodi oggettivi, pur essendo molto efficaci dal punto di vista diagnostico, mostrano tuttavia alcuni punti deboli: presumono la definizione a priori, da parte di tecnici esperti di prodotto, del tipo di attributo sensoriale e del punto critico che determinano la stima della shelf-life e, in secondo luogo, coinvolgono panel di giudici per definizione molto sensibili dal punto di vista sensoriale. Nessuno di questi test, applicato da solo, ci dice in realtà se le differenze individuate rispetto al prodotto fresco, in quel dato momento della vita del prodotto, sono realmente percepibili o accettabili da parte del consumatore.

“La qualità è significativamente cambiata ma il cambiamento è percepito anche dal consumatore?” “E qualora lo fosse, è ancora accettabile?” “Il consumatore sarebbe ancora disposto a consumare il prodotto o meglio ad acquistarlo?”

La risposta a queste domande si ottiene con l’applicazione dei metodi cosiddetti soggettivi che basano il loro criterio di definizione del “massimo decadimento ancora accettabile” sul giudizio espresso da un campione rappresentativo di consumatori user del prodotto. In questo caso il parametro preso in esame può essere il gradimento complessivo o la propensione al consumo o, ancora, l’intenzione di acquisto. E’ necessario a priori stabilire un valore medio di riferimento di uno di questi indici di stima dell’apprezzamento del prodotto che, normalmente, corrisponde a quello riconosciuto al prodotto fresco nella massima espressione della sua qualità. Il metodo prevede quindi di sottoporre il prodotto, nei vari step di conservazione, al giudizio di uno stesso campione di consumatori e di correlare i dati di gradimento (o di propensione al consumo o all’acquisto) con il tempo di conservazione: il punto di cut-off coincide con il punto in cui l’indice di apprezzamento scende significativamente sotto il valore di riferimento.

Un’alternativa al test precedente è rappresentata dalla “survival analysis” [6] [7] un metodo applicato largamente in ambito clinico, epidemiologico e sociologico. Quando applicato in studi sulla stima della shelf-life permette di rilevare la consumer rejection ovvero la percentuale di consumatori che rifiutano il prodotto in un dato momento della sua conservazione. Un campione di consumatori valuta un set di prodotti a diversi stadi di conservazione e risponde alla domanda: “Consumeresti questo prodotto?”. La percentuale di rejection rilevata ai diversi stadi viene messa in correlazione con il tempo di conservazione e dalla curva è possibile estrapolare il tempo di shelf-life corrispondente al 50% [8] [9] o al 25% [10] di rejection.

Infine, le metodologie della consumer&sensory science offrono approcci di tipo multivariato che prevedono la combinazione di metodologie oggettive e soggettive in grado di correlare i risultati di tipo analitico/tecnico con la percezione fornita dal consumatore ed espressa in termini di gradimento o accettabilità. I risultati forniscono in questo caso una risposta più completa e puntuale sia sulle ragioni del decadimento sia sulla percezione da parte del consumatore.

IN CONCLUSIONE

Il portfolio dei metodi sensoriali a disposizione delle aziende è molto articolato e può offrire un contributo essenziale agli studi di controllo e di definizione della shelf-life dei prodotti, talvolta anche in affiancamento ai metodi analitici e strumentali che, pur essendo indiscutibilmente utili e necessari, da soli non sono sufficienti in quanto lontani da tutta quella parte che concerne la sfera percettiva della qualità sensoriale del prodotto.

Autori:

Silvia Abbà
Senior Consumer & Sensory Scientist; Director Center of Sensory Science Innovation

Annamaria Recchia
Consumer & Sensory Scientist

Federica Russo
Consumer & Sensory Scientist

BIBLIORAFIA
[1]Giménez, A., Ares, F., Ares, G. (2012). Sensory shelf-lfe estimation: A review of current methodological approaches.
Food Research International, 49, 311-325.
[2] UNI EN ISO 5495:2008, Analisi sensoriale – Metodo di comparazione a coppie, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.
[3] UNI EN ISO 4120:2008, Analisi sensoriale – Metodo triangolare, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.
[4] UNI EN ISO 10399:2018, Analisi sensoriale – Metodologia – Metodo duo-trio, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.
[5] UNI EN ISO 13299:2010, Analisi sensoriale – Metodologia Guida generale per la definizione del profilo sensoriale, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.
[6] Gámbaro, A., Fiszman, S., Giménez, A., Varela, P., Salvador, A. (2004). Consumer Acceptability Compared with Sensory and Instrumental Measures of White Pan Bread: Sensory Shelf‐life Estimation by Survival Analysis, Journal of Food Science, 69, (9), 401-405.
[7] Hough, G., Langohr, K., Gomez, G., & Curia, A., (2003). Survival Analysis applied to sensory shelf life of foods, Journal of Food Science, 68, 359-362.
[8] Cardelli, C., & Labuza, T.P. (2001). Application of Weibull hazard analysis to the determination of the shelf life of roasted and ground coffee. Lebensmittel-Wissenschaft & Technologie, 34, 273-278.
[9] Gacula, M. C., Jr., & Singh, J. (1984). Statistical methods in food and consumers research. New York: Academic Press.
[10] Gimenez, A., Varela, P., Salvador, A., Ares, G., Fiszman, S., & Garitta, L. (2007). Shelf Life estimation of brown pan bread: A consumer approach. Food Quality and Preference, 18, 196-204.
[11] SISS (ed.), (2012) Atlante Sensoriale dei prodotti alimentari, Tecniche Nuove. Pane e altri prodotti da forno, 170-175, Formaggi, 227-241.
[12] Gallerani, G., Gasperi, F., Monetti, A. (2000). Judge selection for hard and semi-hard cheese sensory evaluation – Food Quality and Preference, 11 (6), 465-474.
[13] Zannoni, M. (2010). Evolution of the sensory characteristics of Parmigiano–Reggiano cheese to the present day Food Quality and Preference, 21, (8), 901-905.
[14] UNI EN ISO 8586-1-2:2014, Analisi sensoriale – Guida generale per la selezione, addestramento e verifica dei giudici selezionati e giudici esperti di analisi sensoriale, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.
[15] UNI EN ISO 8589:2014, Analisi sensoriale – Guida generale per la progettazione di locali di prova, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, Milano.